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Friday, March 17, 2006

La realtà scientifica dell'ipnoanalgesia

La realtà scientifica dell'ipnoanalgesia
da un articolo
di:
Alberto Torelli

L'analgesia ipnotica è una realtà scientifica, dimostrata in laboratorio con esperimenti controllati, su volontari sofferenti soltanto a livello sperimentale (quindi poco motivati, a tutto svantaggio dell'ipnosi), e con una performance giudicata da uno staff tecnicamente scettico. Grazie a tutte queste condizioni sfavorevoli, i risultati sono da considerarsi veramente inequivocabili.

L'ipnosi è sopravvissuta nel tempo per la sua utilità nel ridurre il dolore in chirurgia. Gli esperti di ipnosi si sono inventati 3 tipi di tecniche: SUGGESTIONE DIRETTA della diminuzione di dolore, ALTERAZIONE dell'esperienza dolorosa, e REDIREZIONE dell'attenzione lontano dalla fonte di dolore. Esercitando l'immaginazione si può ridurre il dolore. L'immagine concreta è un supporto per aiutare il paziente a controllare il dolore, cioè si stimola l'immaginazione a fini pratici. A quel punto il paziente può accettare o rifiutare. Questo non è un placebo, ma è molto di più.

Certi sostengono che il soggetto riferisca una diminuzione di dolore per compiacere all'ipnotista, ma l'uso sperimentale di soggetti simulatori non ipnotizzabili ha dimostrato che non è così: non può trattarsi di compiacenza. In altre parole, c'è una percezione realmente minore del dolore. Le prove di laboratorio dicono ben chiaro che l'ipnosi non riduce solo il suffering ma anche la sensory pain, cioè entrambe le componenti del dolore. Gli esperimenti dimostrano che per i soggetti poco ipnotizzabili l'analgesia ipnotica agisce al pari del placebo, mentre in quelli molto ipnotizzabili la riduzione del dolore tramite ipnoanalgesia è di gran lunga superiore a quella da placebo.

Pertanto l'ipnosi non può essere un placebo. Anche se non è noto un buon indice fisiologico di dolore, il battito cardiaco e la pressione ematica salgono quando uno sente male. Con l'analgesia ipnotica i segnalatori volontari (le smorfie, i gemiti,..) si riducono molto di più di quelli involontari (polso e pressione, che restano praticamente invariati), per cui in base a questi ultimi il calo di dolore sarebbe illusorio.

Ma come si può confutare quello che il soggetto riferisce di esperire, e cioè un calo del dolore? Si tratta di un paradosso. L'analgesia ipnotica chiaramente funziona, ma i parametri fisiologici associati al dolore rimangono praticamente invariati. Per ora si può dire che i segnali volontari scompaiono, indicando un buon comfort e relax ipnotico, mentre quelli involontari persistono forse perché si tratta di alterazioni cardiovascolari per nulla preoccupanti. Infine c'è un altro punto importante: ridurre l'ansia non significa ridurre la percezione del dolore. Il tranquillante non è un analgesico.

Il diazepam (valium), l'acido acetilsalicilico (aspirina) e il placebo funzionano sul dolore come segue: il tempo di tolleranza viene massimizzato dal valium (perché l'ansia cala anche se lo stimolo doloroso cresce), ma con l'ipnosi non c'è correlazione tra ansia e dolore percepito, per cui l'ipnosi va considerata più come un analgesico che come un tranquillante. L'analgesia ipnotica non è correlata alla riduzione dell'ansia, cioè non può essere dovuta al relax, e infatti il dolore può venire ridotto in trance anche mentre l'ansia sale (l'anticipazione del fenomeno analgesico ipnotico è una forma di eccitazione nervosa che si oppone alla calma). Insomma, con l'analgesia ipnotica l'effetto è analgesico, anche se l'ipnosi può essere usata come sedativo per mitigare l'ansia, che è ben distinta dall'analgesia nell'ambito dell'esperienza totale del dolore. In oncologia, ostetricia, chirurgia, e odontoiatria, il dolore ha ben poco di psichico, e sul dolore fisico l'ipnosi dimostra la sua validità di analgesico come metodo di controllo del dolore (fonte: Hilgard & Hilgard, 1984). Naturalmente, anche la medicina di base può sfruttare molto l'ipnosi, ad esempio per emicranie, mal di testa, dolori articolari, dolori neuromuscolari, dolori mestruali, ed altro.

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