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Psicolife - psicologia e psicoterapia a Firenze

Friday, October 27, 2006

Il dolore degli altri… sulla nostra pelle

State guardando un film, il protagonista è sottoposto ad una prova dolorosa ed ecco che in voi scatta immediatamente una reazione emotiva di empatia, che vi fa avvertire quel dolore come vostro; è perché vi siete affezionati al personaggio o vedete voi stessi in lui?


La risposta la fornisce uno studio tutto italiano pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience: non siamo “mossi” soltanto nella sfera emotiva, come creduto finora, ma entra in gioco anche l’attivazione di precise strutture del cervello che nulla hanno a che vedere con i sentimenti e molto con la percezione sensoriale più primitiva, un meccanismo che nella storia dell’evoluzione umana ha rappresentato il primo passo verso la nascita di legami sociali.

La ricerca, condotta da Salvatore Aglioti del dipartimento di Psicologia dell’università di Roma La Sapienza e della Fondazione Santa Lucia della capitale, insieme ad Alessio Avenanti, aiuta a far breccia su malattie in cui i legami sociali sono distorti, come l’autismo. Inoltre i ricercatori ipotizzano che guardare qualcuno che soffre mentre si prova dolore possa aiutare a modulare la propria percezione del dolore.

I ricercatori hanno scoperto che quando vediamo qualcuno provare dolore fisico, anche uno sconosciuto per cui non sentiamo nulla, ci mettiamo fisicamente nei suoi panni perché la nostra corteccia motoria reagisce allo stesso modo alla vista come se fossimo noi in prima persona a provare dolore. Per scoprirlo i ricercatori hanno utilizzato la tecnica della stimolazione magnetica transcranica, ovvero una bobina stimolante posta in corrispondenza della corteccia motoria ha inviato nel cervello di un gruppo di volontari sani, senza provocare alcun dolore, campi magnetici. Questi permettono di controllare l’eccitabilità del sistema motorio che è legato alla percezione del dolore.

L’attività della corteccia motoria dei volontari è stata valutata mentre guardavano videoclip in cui un ago penetrava in una mano, un cotton fioc toccava la mano nello stesso punto e un ago penetrava in un pomodoro. La mano non apparteneva ad alcuna persona cara, in modo da escludere implicazioni emotive complesse. Le reazioni dei volontari hanno dato ai ricercatori le risposte cercate: quando i partecipanti guardavano l’ago penetrare nella mano il loro sistema motorio riduceva l’eccitabilità, come se essi stessi provassero dolore. Quanto più i volontari ritenevano che l’altro stesse soffrendo, tanto più si spegneva l’area della corteccia motoria, come per creare una sorta di anestesia. Non accadeva invece nulla di simile quando i soggetti guardavano l’ago penetrare nel pomodoro.

Queste reazioni al dolore altrui si innescano in modo del tutto involontario e senza alcuna correlazione con la sfera emotiva. Dunque esistono tanti tipi di empatia, non solo quelli legati alle “sfere” più alte dell’emotività e dei legami affettivi. L’empatia individuata da Aglioti è molto primitiva, basata sulla percezione che a provare dolore è un nostro simile indipendentemente dal legame che abbiamo con lui, e nella quale la parte sensoriale del cervello gioca un ruolo molto importante. Il fenomeno, battezzato “contagio somato-motorio”, scatta alla vista del dolore di un altro essere umano senza darci il tempo di riflettere su cosa proviamo per lui.
L’ipotesi dei ricercatori italiani è che questo tipo di empatia serva a imparare come reagire al dolore e che rappresenti forse l’esempio più primitivo di apprendimento sociale.

Fonte: Aglioti SM et al. Transcranial magnetic stimulation highlights the sensorimotor side of empathy for pain. Nature Neuroscience. doi:10.1038/nn1481.

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