Risultati incoragginati con basse dosi di un medicinale usato per trattare la dipendenza da oppioidi
Da un articolo di: Elena Meli Pubblicato su: Il Corriere
MILANO - Sean Mackey, capo della Divisione di medicina del dolore dell'università di Stanford in California, presentando i risultati dello studio pilota che ha appena pubblicato sulla rivista Pain Medicine ha deciso di far parlare i suoi pazienti. Perché ha pensato che forse nulla meglio delle parole di Tara Campbell, una trentanovenne fibromialgica californiana, potesse descrivere gli effetti del naltrexone, il farmaco in sperimentazione: «Un anno fa il solo fatto che mio marito o i miei figli mi toccassero mi faceva star male per il dolore, non mi muovevo quasi più dal divano. Oggi sono tornata al lavoro, guido una raccolta fondi per la scuola di mia figlia e mi sento bene, molto bene. Non sono esattamente la persona che ero prima della malattia e non mi sento al 100 per cento, però la mia vita è cambiata».
PICCOLO STUDIO – Tara è una delle dieci donne che, dalla primavera del 2008, Mackey ha coinvolto in un piccolo studio pilota per verificare gli effetti del naltrexone sulla fibromialgia. Per 10 settimane Tara e le altre hanno preso piccole dosi di questo farmaco che da decenni viene usato per curare la dipendenza da oppioidi: per due settimane è stato dato loro un placebo, per altre otto hanno assunto naltrexone senza però sapere se stessero prendendo l'uno o l'altro. Alla fine del periodo di sperimentazione, con naltrexone i sintomi di dolore e affaticamento erano diminuiti del 30 per cento rispetto al placebo. Tanto che alcune hanno smesso di prendere altri medicinali, altre sono tornate al lavoro, tutte hanno riferito che la loro qualità della vita è migliorata non poco. Perché è stato scelto proprio il naltrexone? «Usare questo farmaco per contrastare il dolore può sembrare in effetti un controsenso, perché sappiamo che a dosi normali blocca i sistemi preposti alla riduzione del dolore – ha dichiarato Mackey –. A basse dosi, però, sembra modulare le funzioni delle cellule della glia, nel sistema nervoso centrale: cellule che fanno da supporto e proteggono i neuroni e che mettono in comunicazione le cellule nervose e quelle coinvolte nei processi infiammatori. Modulando la funzione della glia probabilmente riusciamo a influenzare il comportamento anomalo del dolore nei pazienti fibromialgici». Ai ricercatori di Stanford l''idea è venuta per caso un paio di anni fa, quando un collaboratore di Mackey chiese ad alcuni pazienti inseriti nei gruppi di auto-aiuto se qualcosa avesse mai dato loro sollievo. Tanti citavano il naltrexone: da lì è partito lo studio, che adesso proseguirà su 30 pazienti per almeno 16 settimane.
CAUTELA – Naltrexone costa poco ed è una speranza per una patologia (la cui reale esistenza è ancora discussa, per la verità) per cui ci sono poche terapie consolidate: l'entusiasmo dei pazienti è palpabile, leggendo le testimonianze. Ma Mackey stesso getta acqua sul fuoco: «I risultati preliminari sono incoraggianti, ma appunto sono del tutto preliminari: dobbiamo studiare ancora molto prima di essere certi che la cura con naltrexone sia efficace e ben tollerata». La pensa così anche Piercarlo Sarzi-Puttini, presidente dell'Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica (AISF ) che domenica 19 aprile si riunisce per il Congresso Nazionale all'Ospedale Sacco di Milano. Sarzi-Puttini osserva: «Lo studio è piccolo, ma l'argomento vale la pena di essere approfondito con ricerche ben disegnate che mettano a confronto placebo e naltrexone. Questo farmaco è un antagonista degli oppioidi ben tollerato ma è un blando oppiaceo a sua volta, perciò esiste comunque la possibilità che dia dipendenza: in caso di sospensione, si può avere un effetto paradosso di iperalgesia. In ogni caso è bene andare avanti con le ricerche – prosegue Sarzi-Puttini –. Non abbiamo farmaci miracolosi per la fibromialgia, ma soltanto sintomatici: ben venga qualsiasi nuova strada che possa rivelarsi utile. La grossa soddisfazione dei pazienti, inoltre, è davvero un segnale positivo». Alcune partecipanti stanno continuando a prendere naltrexone. «Sto continuando a migliorare. Ho ancora dolori localizzati, ma posso tollerarli perché non ho più i sintomi influenzali di prima né l'affaticamento. Oggi mi sento sempre di più una persona normale». Parola di Tara.
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