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Psicolife - psicologia e psicoterapia a Firenze

Thursday, May 21, 2009

Un aiuto per chi soffre di colite ulcerosa arriva dall'ipnosi

Tratto da: la STAMPA

Dover rinunciare alla vita sociale a causa di un disturbo come la colite ulcerosa che costringe a correre al bagno in molte situazioni è un problema che affligge diverse persone. Ora un aiuto pare arrivare da una terapia basata sull’ipnosi.
È quanto afferma un gruppo di ricercatori americani, i quali hanno presentato i risultati di uno studio al Crohn's & Colitis Foundation of America's 13th Annual Medical Symposium e 14th Annual Patient and Family Conference di Chicago.

La dr.ssa Laurie Keefer, psicologo clinico della salute presso la Northwestern University Feinberg School of Medicine, ritiene che la terapia ipnotica può migliorare la qualità della vita delle persone affette da colite ulcerosa. Mediante la terapia ipnotica, suggerisce la ricercatrice, si può favorire la gestione dello stress che influisce significativamente sui sintomi associati e un maggiore autocontrollo. Tutto questo si traduce in maggiore autostima e padronanza di sé.
Allo studio hanno partecipato 80 pazienti nell'arco di tre anni, di cui per ognuno è stato monitorato il progresso per un anno. Al momento attuale i partecipanti attivi sono 27 e la terapia a cui sono sottoposti prevede anche l’ascolto di registrazioni speciali rilassanti.

La maggioranza dei soggetti ha mostrato di aver migliorato le relazioni sociali intraprendendo attività che un tempo avevano abbandonato a causa della malattia; tra cui andare al ristorante, fare esercizio, viaggiare, partecipare a feste e altre ancora.

I soggetti coinvolti hanno comunque continuato le loro cure tradizionali, anche se qualcuno durante il periodo di studio spesso si è dimenticato di prendere le pillole. Nonostante ciò non ha avuto i disturbi che ci si sarebbe aspettato.
Anche se ulteriori studi si renderanno necessari, i dati acquisiti paiono confortanti e mostrano come un maggiore senso di controllo di sé e sulla propria salute si rifletta positivamente nella vita sociale e in un miglioramento della vita stessa.

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Wednesday, April 22, 2009

Fibromialgia; sintomi ridotti del 30% con terapia sperimentale

Risultati incoragginati con basse dosi di un medicinale usato per trattare la dipendenza da oppioidi

Da un articolo di: Elena Meli Pubblicato su: Il Corriere

MILANO - Sean Mackey, capo della Divisione di medicina del dolore dell'università di Stanford in California, presentando i risultati dello studio pilota che ha appena pubblicato sulla rivista Pain Medicine ha deciso di far parlare i suoi pazienti. Perché ha pensato che forse nulla meglio delle parole di Tara Campbell, una trentanovenne fibromialgica californiana, potesse descrivere gli effetti del naltrexone, il farmaco in sperimentazione: «Un anno fa il solo fatto che mio marito o i miei figli mi toccassero mi faceva star male per il dolore, non mi muovevo quasi più dal divano. Oggi sono tornata al lavoro, guido una raccolta fondi per la scuola di mia figlia e mi sento bene, molto bene. Non sono esattamente la persona che ero prima della malattia e non mi sento al 100 per cento, però la mia vita è cambiata».

PICCOLO STUDIO – Tara è una delle dieci donne che, dalla primavera del 2008, Mackey ha coinvolto in un piccolo studio pilota per verificare gli effetti del naltrexone sulla fibromialgia. Per 10 settimane Tara e le altre hanno preso piccole dosi di questo farmaco che da decenni viene usato per curare la dipendenza da oppioidi: per due settimane è stato dato loro un placebo, per altre otto hanno assunto naltrexone senza però sapere se stessero prendendo l'uno o l'altro. Alla fine del periodo di sperimentazione, con naltrexone i sintomi di dolore e affaticamento erano diminuiti del 30 per cento rispetto al placebo. Tanto che alcune hanno smesso di prendere altri medicinali, altre sono tornate al lavoro, tutte hanno riferito che la loro qualità della vita è migliorata non poco. Perché è stato scelto proprio il naltrexone? «Usare questo farmaco per contrastare il dolore può sembrare in effetti un controsenso, perché sappiamo che a dosi normali blocca i sistemi preposti alla riduzione del dolore – ha dichiarato Mackey –. A basse dosi, però, sembra modulare le funzioni delle cellule della glia, nel sistema nervoso centrale: cellule che fanno da supporto e proteggono i neuroni e che mettono in comunicazione le cellule nervose e quelle coinvolte nei processi infiammatori. Modulando la funzione della glia probabilmente riusciamo a influenzare il comportamento anomalo del dolore nei pazienti fibromialgici». Ai ricercatori di Stanford l''idea è venuta per caso un paio di anni fa, quando un collaboratore di Mackey chiese ad alcuni pazienti inseriti nei gruppi di auto-aiuto se qualcosa avesse mai dato loro sollievo. Tanti citavano il naltrexone: da lì è partito lo studio, che adesso proseguirà su 30 pazienti per almeno 16 settimane.

CAUTELA – Naltrexone costa poco ed è una speranza per una patologia (la cui reale esistenza è ancora discussa, per la verità) per cui ci sono poche terapie consolidate: l'entusiasmo dei pazienti è palpabile, leggendo le testimonianze. Ma Mackey stesso getta acqua sul fuoco: «I risultati preliminari sono incoraggianti, ma appunto sono del tutto preliminari: dobbiamo studiare ancora molto prima di essere certi che la cura con naltrexone sia efficace e ben tollerata». La pensa così anche Piercarlo Sarzi-Puttini, presidente dell'Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica (AISF ) che domenica 19 aprile si riunisce per il Congresso Nazionale all'Ospedale Sacco di Milano. Sarzi-Puttini osserva: «Lo studio è piccolo, ma l'argomento vale la pena di essere approfondito con ricerche ben disegnate che mettano a confronto placebo e naltrexone. Questo farmaco è un antagonista degli oppioidi ben tollerato ma è un blando oppiaceo a sua volta, perciò esiste comunque la possibilità che dia dipendenza: in caso di sospensione, si può avere un effetto paradosso di iperalgesia. In ogni caso è bene andare avanti con le ricerche – prosegue Sarzi-Puttini –. Non abbiamo farmaci miracolosi per la fibromialgia, ma soltanto sintomatici: ben venga qualsiasi nuova strada che possa rivelarsi utile. La grossa soddisfazione dei pazienti, inoltre, è davvero un segnale positivo». Alcune partecipanti stanno continuando a prendere naltrexone. «Sto continuando a migliorare. Ho ancora dolori localizzati, ma posso tollerarli perché non ho più i sintomi influenzali di prima né l'affaticamento. Oggi mi sento sempre di più una persona normale». Parola di Tara.

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Thursday, February 12, 2009

Sì alla cannabis come antidoto al dolore

Ci sono voluti anni per spazzare via dubbi e resistenze, ma finalmente all' ospedale Molinette e in altre tre strutture italiane i malati affetti da tumore in stato avanzato potranno utilizzare la cannabis per combattere il dolore. La sperimentazione parte a dicembre e dieci pazienti selezionati (40 in tutta Italia) parteciperanno allo studio Spray che prevede nove settimane di trattamento. L' obiettivo primario è determinare l' efficacia del dosaggio e verificare quale sia il livello entro il quale il Sativex, il farmaco utilizzato via spray (oromuscosal spray sativex) è ancora efficace in pazienti che soffrono di una patologia neoplastica in fase avanzata. Al termine della sperimentazione il trattamento andrà a regime e dalla prossima primavera le cure saranno accessibili per tutti i pazienti che presentano le caratteristiche richieste. Soltanto alle Molinette potrebbero essere oltre duecento all' anno i malati trattati con cannabinoidi.

La campagna informativa è pronta e viene lanciata attraverso i medici di medicina generale: «Soffre di dolore persistente da cancro nonostante stia assumendo farmaci antidolorifici? Se è così, contatti il suo medico sulla possibilità di prendere parte allo studio Spray». Dopo la bocciatura del comitato etico dell' ospedale Molinette - era giugno del 2006 quando l' organismo presieduto da Alessandro Pileri espresse parere negativo alla sperimentazione aprendo un dibattito che sul fronte opposto ha coinvolto anche il direttore generale Giuseppe Galanzino - è stata la determinazione di Antonio Mussa, primario del dipartimento universitario di chirurgia oncologica, e di Riccardo Torta, primario di psicologia clinica ed oncologica a sbloccare la situazione. Lo studio, che in fase iniziale era nato in sinergia con Roma e Filadelfia, è diventato nel frattempo uno studio multicentrico internazionale e coinvolge adesso 33 strutture negli Stati Uniti, 5 in Canada, 11 in Romania, 9 in Cecoslovacchia, 10 in Sud Africa, 4 in Spagna e 4 in Italia (oltre alle Molinette il Policlinico Umberto I e l' Istituto Regina Elena per i tumori di Roma e l' Istituto nazionale tumori di Milano).

La sfida è misurare le qualità del farmaco (che contiene quantità quasi uguali di Thc, tetraidrocannabinolo e Cbd, cannabinolo) per contrastare sintomi importanti in pazienti affetti da tumore: anoressia, vomito, nausea, perdita di peso, dolore, ma anche ansia e depressione. Tutti disagi da non sottovalutare che le cure finora utilizzati hanno difficoltà a debellare. Il dolore, spiega Mussa (da poco tornato in Europa come parlamentare eletto nelle file di Alleanza nazionale) non è la sola ragione per rivolgersi all' uso di cannabis «gli effetti dei cannabinoidi sull' umore, sul sonno e sullo stress sono aspetti importanti che dovrebbero essere presi maggiormente in considerazione perché se sommati condizionano pesantemente in negativo la qualità di vita dei pazienti».

Gli effetti causati dall' assunzione di sativex, racconta ancora Mussa, saranno ovviamente confrontati con quelli prodotti da un placebo che sarà somministrato ad un gruppo parallelo. L' annuncio dell' avvio della sperimentazione all' ospedale Giovanni Battista è stato dato ieri durante il congresso nazionale della Società italiana tumori dal titolo "I tumori rari e gli eventi rari nei tumori frequenti" organizzato da Sergio Sandrucci, chirurgia oncologica delle Molinette e da Alessandro Comandone, oncologia medica del Gradenigo. Una vetrina importante affrontare il tema delicato e controverso della lotta al dolore con le cure palliative.

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