Header

Psicolife - psicologia e psicoterapia a Firenze

Friday, June 23, 2006

Aspetti psicologici nel dolore postoperatorio

Aspetti psicologici nel dolore postoperatorio

La caratteristica più importante del dolore acuto ed in particolare del dolore postoperatorio deve addebitarsi all’ansia.

L’ansia preoperatoria è relativa all’ansia di attesa di un qualcosa che non si conosce e, proprio per questo, si teme ancora di più. Tutto il periodo antecedente all’operazione è vissuto nell’ambito del ricovero ospedaliero, con una serie di esami di routine che introducono al giorno prestabilito per l’intervento. All’ansia si accompagnano tutta una serie di paure che spesso sono strettamente collegate a pregiudizi culturali, ad apprendimenti diretti o per modellamento che contribuiscono ad alzare il gradiente di incertezza.

I rapporti interpersonali precedenti all’operazione sono fatti di comunicazioni monotematiche sia con i familiari che con altri pazienti nelle sale d’aspetto degli specialisti oppure già direttamente nella camera ospedaliera. In più possono aggiungersi preoccupazioni di tipo affettivo nei riguardi dei familiari, logistiche per la distanza dall’ospedale e le difficoltà di spostamento, lavorative per l’assenza dal posto di lavoro e per il dubbio di poter riprendere l’attività in tempi brevi o addirittura di perdere l’impiego, economiche perché il fermo momentaneo ha comportato una serie di spese non indifferenti a fronte di una carenza di ricavi, progettuali in relazione al dubbio di poter effettivamente raggiungere gli obiettivi proposti. Le paure principali sono superficialmente legate all’esito dell’operazione e all’anestesia, ma in profondità aleggia la paura della morte.

Nonostante ci sia fiducia nello staff medico, la probabilità che l’operazione non riesca perfettamente o possano esserci delle complicazioni turba in modo quasi ossessivo il paziente che pesca nella sua memoria tutti i racconti e le informazioni a sostegno di questa ipotesi negativa.
L’anestesia è vissuta da molti pazienti come una tecnica capace di far perdere il controllo della coscienza, di far dire cose inopportune, di perdere la consapevolezza di quanto sta avvenendo, di perdere il controllo delle proprie facolta` mentali.

Un effetto ansiogeno legato ai timori rispetto all’anestesia è la paura di perdere il controllo. Si tratta di una paura che il paziente tenta di ridurre aumentando il controllo stesso e ponendo una resistenza psicologica all’abbandono ai farmaci anestetici. Questo tipo di strategia produce un’ansia che si esaspera al risveglio, quando si ha paura di dire sciocchezze o di averne dette durante l’anestesia

L’ansia che interviene dopo l’operazione può causata da tre fattori principali:
il primo è lo spavento come reazione al dolore che insorge non appena scompare l’effetto dell’anestesia;

il secondo è l’insicurezza. Il paziente non sa che cosa aspettarsi dopo l’intervento anche se aveva fatto delle previsioni. La realtà composta di sensazioni strane e dolorose.

Il terzo è l’incapacità a fronteggiare la nuova situazione per la quale deve dipendere da qualche personaggio esterno come il medico o l’infermiere.

Questi tre fattori interagenti aumentano il livello di ansia e, di conseguenza, innescano un circolo vizioso che abbassa la soglia del dolore aumentandone la percezione.
Sono stati evidenziati molteplici fattori che influenzano l’insorgenza, il tipo, la durata e l’intensità del dolore postoperatorio.

Il primo fattore riguarda il paziente con le sue caratteristiche fisiche e psicologiche.
Il secondo è relativo alla tecnica e alla sede di intervento.
Il terzo si riferisce alla preparazione preoperatoria comprendente aspetti fisici, farmacologici e psicologici.
Il quarto fattore che influenza il dolore postoperatorio è rappresentato dall’eventuale insorgenza di complicazioni relative all’intervento.
Il quinto è strettamente correlato alla tecnica anestesiologica.
Infine il sesto riguarda la qualità dell’assistenza postoperatoria.

Ansia
Nel 1958 Janis aveva elaborato un modello curvilineo dei rapporti tra livelli di ansia pre-operatori e post-operatori. Secondo questo modello un livello moderato di ansia prima dell’operazione chirurgica predice un recupero post-operatorio soddisfacente mentre livelli troppo bassi o troppo elevati peggiorano l’impatto con l’intervento. Prima dell’intervento il paziente aumenta il proprio livello di attivazione emozionale ed inizia a svolgere quello che Janes ha definito "compito di preoccuparsi" cioè una vera e propria preparazione psicologica rispetto agli agenti stressanti. Invece pazienti con un accentuato atteggiamento difensivo non hanno ansia preoperatoria e risultano impreparati rispetto agli stress favorendo un recupero postoperatorio difficoltoso.

Queste caratteristiche non sono state confermate da ricerche successive.
Spielberger e coll. hanno proposto il modello dell’ansia di stato e ansia di tratto che ha trovato una quantificazione nello specifico test S.T.A.I. A partire da questa formulazione gli studi seguenti hanno evidenziato , invece di una relazione curvilinea, una correlazione lineare positiva fra l’ansia preoperatoria e l’ansia postoperatoria. Pertanto a bassi livelli di ansia preoperatoria corrispondono bassi livelli di ansia postoperatoria, mentre ad alti livelli iniziali corrispondono anche livelli finali elevati.

Locus of Control
Oltre all’ansia si presentano anche fattori relativi al controllo. Questi non sono solamente relativi alla paura di perdere il controllo della coscienza, di dire cose inopportune, di perdere la consapevolezza di quanto sta avvenendo, di smarrire il controllo delle proprie facolta` mentali.
Esiste anche un controllo di tipo attivo sulla capacità personale di venir fuori bene dall’operazione, o sulla fiducia allo staff medico o sul caso e la fortuna che può assistere il paziente.
In generale la reazione del paziente con gli eventi stressanti è stata studiata alla luce del paradigma del controllo interno od esterno utilizzando la scala di Rotter. Sul piano specifico del dolore postoperatorio gli studi relativi alla chirurgia orale hanno evidenziato che i pazienti che si esprimono con un controllo interno recepiscono meglio le informazioni specifiche sull’operazione, mentre i pazienti a controllo esterno beneficiano maggiormente di informazioni generiche. Nonostante queste evidenze le ricerche sul locus of control non sono riuscite a stabilire una correlazione chiara e statisticamente significativa fra questo costrutto e l’ansia e il dolore postoperatorio.

Prospettive
L’importanza dei fattori psicologici non è rimasta nei polverosi scaffali della ricerca ed è stata recepita a livello clinico, portando all’elaborazione di specifici programmi di preparazione psicologica preoperatoria.
Permangono ancora tutta una serie di problemi legati all’uso degli specifici strumenti per individuare i fattori psicologici e la loro effettiva e significativa relazione con la ripresa postoperatoria.

www.psicolife.com Psicologia e Ipnosi Terapia a Firenze

Thursday, June 15, 2006

Emicrania

Questione di pompa

Su Nature Genetics un bel lavoro sponsorizzato Telethon in collaborazione tra il Dibit-Ospedale San Raffaele a Milano e vari dipartimenti neurologici italiani tra Grosseto, Messina e Palermo. Si è scoperta una mutazione in un gene di nome ATP1A2 che è responsabile di una rara forma ereditaria dell'emicrania, la cosiddetta 'emicrania emiplegica tipo 2'. Emiplegica in quanto la cefalea è accompagnata da forti deficit neurologici, come ad esempio la paralisi di un lato del corpo (emiplegia), che sono comunque transitori e regrediscono completamente. Il fenomeno è simile alla classica 'emicrania con aura' in cui il termine 'aura' descrive sintomi neurologici focali in genere più leggeri come disturbi visivi, formicolii, vertigini oppure difficoltà del linguaggio. Non si conoscono bene i meccanismi che scatenano l'attacco acuto dell'emicrania. Un fenomeno centrale sembra la 'cortical spreading depression', una riduzione circoscritta della attività della corteccia cerebrale. In questo fenomeno sono coinvolte alterazioni delle proprietà elettriche delle cellule nervose. Ebbene, la mutazione scoperta adesso disattiva parzialmente la pompa dei ioni del sodio e del potassio, una proteina della membrana cellulare che costituisce il motore fondamentale per conservare la carica elettrica delle cellule muscolari e nervose (pompando il sodio Na+ dall'interno all'esterno e il potassio K+ dall'esterno all'interno della cellula, v. figura). È la prima volta che viene scoperta una mutazione nel gene di questa pompa. La mutazione rallenta la regolare funzione della pompa (sostenuta comunque dal gene intatto ereditato da uno dei due genitori). Già nel 1997 erano state descritte mutazioni di un altro gene per una proteina della membrana cellulare che costituisce un tipo dei 'canali del calcio', anch'essi importanti a determinare le proprietà elettriche della membrana. Una recente pubblicazione ha poi dimostrato l'efficacia di un antagonista di questi canali per trattare l'emicrania emiplegica. La nuova scoperta apre una bella prospettiva sui meccanismi dell'emicrania e lo sviluppo di ulteriori terapie (v. anche questa recente notizia su neurologia.it). La scoperta è di interesse particolare, anche perchè la pompa costituisce uno dei primi argomenti che si studiano in neurobiologia ed è molto ben analizzata nel suo funzionamento. Disturbi transitori della sua funzione potrebbero essere responsabili della comune emicrania con e senza aura.

www.psicolife.com Psicologia e Ipnosi Terapia a Firenze

Sunday, June 11, 2006

Quando La psicoterapia può far bene all’Artrite

Interessanti conclusioni di una ricerca dell’Università di Sidney su cinquanta malati

Un gruppo di ricerca inglese, guidato dall’australiano L. Sharpe, del dipartimento di psicologia clinica dell’Università di Sidney, ha pubblicato, sul numero di marzo di Rheumatology, i risultati di uno studio che «aggiunge evidenza», come si dice, agli effetti curativi della psiche su tipiche malattie organiche, come l’artrite reumatoide. Otto settimane di psicoterapia, in aggiunta al trattamento medico standard, hanno avuto effetti positivi significativi sul decorso della malattia. I ricercatori hanno diviso cinquanta persone, con una diagnosi di artrite reumatoide da circa dodici mesi, in due gruppi, formati a caso: tutti e due sono stati visitati dalla stessa équipe medica, hanno ricevuto lo stesso trattamento farmacologico, hanno riempito gli stessi questionari per valutare lo stato dell’umore e il livello di disabilità.

A uno dei due gruppi, però, è stato aggiunto un trattamento di psicoterapia: una seduta individuale di un’ora, una volta a settimana, per otto settimane consecutive. Dopo un anno e mezzo dalla fine dello studio, molto netta era la differenza riguardo al tono dell’umore: i livelli di ansia e depressione erano molto più alti e diffusi tra i non trattati con psicoterapia. Ma questo era prevedibile.Meno prevedibili, per chi ha una visione diciamo classica della reumatologia, sono i risultati sull’andamento della artrite misurata come disabilità. Infatti: il 52 per cento del gruppo in solo trattamento farmacologico, dopo 18 mesi, era peggiorato, a fronte del 13 per cento del gruppo con in più la psicoterapia. In quest’ultimo, i «molto migliorati» sono stati addirittura il 30 per cento, contro il 10 per cento del gruppo che ha usato solo farmaci. Insomma, differenze davvero notevoli riguardo all’andamento di una malattia, che causa molte sofferenze e che ancora è difficile da trattare.

Ma perché si cercano nuove terapie? Perché il quadro è desolante. «Nei primi due anni di malattia, nonostante il trattamento», scrivono Raphael Goldbach e Peter E. Lipsky della Direzione del National institute of arthritis and musculoskeletal diseases, a Bethesda in Usa, «il 70 per cento dei pazienti presenta distruzione articolare documentata radiograficamente.Dopo 10 anni di malattia, si arriva al 90 per cento». E la conclusione di questo studio, comparso su Annual Reviews of Medicine 2003, non è proprio incoraggiante: «Nonostante i progressi nelle terapie, solo una piccola parte di pazienti va in remissione».

Ecco perché lo studio di cui abbiamo parlato, può rappresentare una alternativa terapeutica importante, che, alla lunga, visti i guadagni in termini di disabilità, può dimostrarsi anche meno costosa del solo trattamento farmacologico. Con un’avvertenza: l’aggiunta del trattamento psicoterapeutico è efficace se instaurata precocemente.

www.psicolife.com Psicologia e Ipnosi Terapia a Firenze

Thursday, June 08, 2006

Quell' invisibile terapia del dolore

Secondo un recente sondaggio, quattro persone su cinque non sanno neppure che in Italia esistono specialisti e di ambulatori ad hoc.
articolo di :
Donatella Barus


MILANO
– Negli ultimi anni il consumo dei farmaci a carico del Sistema Sanitario Nazionale per il trattamento del dolore è quasi triplicato e la spesa per questi medicinali è raddoppiata, ma 4 italiani su 5 neppure sanno che esistono medici e centri specializzati in questo settore.
Dai dati di un sondaggio condotto dalla Ipsos a metà maggio, infatti, solo il 22 per cento degli intervistati è a conoscenza del fatto che ci sono terapie mirate a lenire la sofferenza dei malati, e si tratta perlopiù di donne (non a caso, le più coinvolte nell’impegno di cura di anziani e infermi), di persone istruite, con uno status socio-economico elevato e residenti nelle regioni settentrionali. Spicca una forte carenza di informazioni, invece, nel centro-sud e tra i più giovani, che in larga parte ancora non hanno dovuto confrontarsi con queste problematiche. In generale, poi, la terapia del dolore in Italia continua ad avere il sapore di un’occasione mancata, per cui 24 persone su cento hanno avuto esperienza diretta (personale o di un familiare) di un dolore cronico, ma soltanto la metà, il 12 per cento, dichiara di avere fatto ricorso a cure antalgiche specifiche.
Questo quadro, che illustra bene quanto ci sia ancora da fare sul fronte dell’informazione per i pazienti e le loro famiglie, è stato delineato in occasione della presentazione della Quinta Giornata nazionale del Sollievo, promossa dalla Fondazione Nazionale “Gigi Ghirotti”, dal ministero della Salute e dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e prevista quest’anno per domenica 28 maggio. Scopo dell’iniziativa (vedi gli eventi nelle diverse Regioni) è proprio aumentare la soglia di consapevolezza e di sensibilità sul diritto a non soffrire e, al tempo stesso, intaccare la barriera di solitudine e isolamento che imprigiona molti malati, anche oncologici.
Insiste sull’informazione dei cittadini anche il neo-ministro della Salute LiviaTurco, che domenica ha inaugurato il suo mandato celebrando la Giornata presso il Policlinico Gemelli a Roma e che in un messaggio a Bruno Vespa, presidente della Fondazione Ghirotti, afferma di voler affrontare le evidenti «difficoltà di orientamento» dei pazienti: «Si fa fatica - dice - ad entrare in possesso delle informazioni giuste, a sapere con certezza quale è la struttura più idonea alla quale rivolgersi, qual è il percorso più virtuoso». E stila una lista delle cose da fare «con urgenza», includendo la «sburocratizzazione» della prescrizione dei farmaci oppiacei (cioè eliminare l’ostacolo ancora ingombrante del ricettario speciale), l’obbligo dell’aggiornamento per gli operatori, con un occhio di riguardo per i medici di medicina generale, il sostegno all’applicazione negli ospedali delle linee guida per un Ospedale senza dolore, prima fra tutti la misurazione del dolore e la sua registrazione come parametro vitale all’interno della cartella clinica.
Il nostro Paese, in effetti, non riesce a staccarsi dalla posizione di fanalino di coda, in Europa e nel mondo, nelle graduatorie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’utilizzazione di farmaci oppiacei, anche se le nuove norme in materia hanno rivoluzionato l’accesso a questo tipo di analgesici. Come dicevamo, la spesa del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in questo settore è passata da 34,5 milioni di euro nel 2004 a 60,9 milioni nel 2005, mentre nello stesso periodo il consumo in dosi dei medicinali per il trattamento del dolore rimborsati ai pazienti è passato da 7,9 milioni a oltre 22 milioni di dosi, secondo l’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, grazie alla rimborsabilità di nuovi preparati e alla disponibilità di nuove confezioni di medicinali già rimborsati. Unico neo, un calo del consumo di morfina che, sostiene l’AIFA, «rimane il trattamento di base del dolore grave e la cui prescrizione è stata sostituita con farmaci molto costosi per via transdermica (i “cerotti”, ndr), ma non più efficaci o parimenti efficaci della morfina per via orale». Non è estranea a questo stallo una certa ambiguità introdotta dalla nuova legislazione in tema di sostanze stupefacenti che non distingue a dovere tra uso terapeutico e abuso gratuito, stando al parere di addetti ai lavori di tutto rispetto, come Franco Caprino, segretario nazionale di Federfarma, e Franco Henriquet, anestesiologo genovese da vent’anni anima della Fondazione Ghirotti.

www.psicolife.com Psicologia e Ipnosi terapia a Firenze

L’agopuntura aiuta contro la nausea da chemioterapia

Associata ai farmaci antiemetici, in alcuni casi limita gli effetti spiacevoli delle cure. Risultati diversi a seconda della tecnica.
MILANO – Anche gli aghi possono aiutare a combattere gli effetti collaterali della chemioterapia e, in particolare, la nausea e il vomito. Lo sostengono gli esperti della Cochrane Collaboration, un’organizzazione internazionale no-profit che si occupa di valutare l’affidabilità dei risultati scientifici. Il responso positivo sull’agopuntura, pubblicato nella Cochrane Library (l’archivio on line dell’associazione), deriva dall’analisi di 11 studi clinici condotti su un totale di oltre 1.200 pazienti: nell’ambito delle sperimentazioni giudicate attendibili sono state prese in esame diverse modalità di agopuntura, da quella tradizionale, che prevede l’inserzione manuale degli aghi, a quella in cui si fa passare una bassissima corrente elettrica negli stessi, all’agopressione, che non prevede l’inserimento degli aghi ma solo una pressione delle dita negli stessi punti sfruttati dalla tecnica classica. Tutti i partecipanti, inoltre, hanno assunto farmaci antiemetici (cioè contro il vomito) durante l’esperimento.
In generale, il primo giorno dopo la chemioterapia il 22 per cento dei pazienti che si era sottoposto a una forma di agopuntura ha avuto nausea e vomito, contro il 31 per cento di coloro che invece avevano fatto ricorso solo alla medicina ufficiale, anche se l’efficacia non è uguale per tutti i tipi agopuntura. L’agopressione, in particolare, non sembra funzionare granché al di là del primo giorno, e la tecnica classica non ha un effetto dimostrabile; più efficaci sembrano invece le metodiche che combinano l’agopuntura al passaggio di correnti a basso voltaggio.

www.psicolife.com Psicologia e Ipnosi terapia a Firenze