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Psicolife - psicologia e psicoterapia a Firenze

Friday, May 26, 2006

Via il dolore e la Tristezza

Mal di testa, disturbi intestinali, fitte alla schiena. Secondo un recente studio, quattro persone su dieci che soffrono di depressione hanno anche sintomi fisici, spesso pesanti da sopportare. Adesso per loro c’è un aiuto in più: un nuovo farmaco, la duloxetina (i nomi commerciali sono Cymbalta e Xeristar), che fa sparire sia l’umor nero sia i disturbi fisici. «Il dolore che colpisce il corpo è uno dei segnali tipici, a volte premonitori, di questa malattia» spiega Eugenio Aguglia, presidente della Società italiana di psichiatria. «Così succede, per esempio, di rivolgersi a uno specialista per una cefalea e scoprire che si tratta di depressione. Il problema è che, non di rado, prima di capire che la causa di questi malesseri è un disagio psichico, passa del tempo e la situazione peggiora.

È importante, invece, osservare subito se oltre ai sintomi fisici compaiono allo stesso tempo abbassamento del tono dell’umore, irritabilità, difficoltà di concentrazione». E, a quel punto, lo specialista potrà prescrivere la duloxetina. Già usata contro l’incontinenza urinaria, ora si è scoperto che può essere molto efficace per combattere i sintomi fisici della depressione. «I normali antidepressivi agiscono solo su un neurotrasmettitore, la serotonina. E quindi riescono a curare soltanto l’aspetto emotivo della depressione» spiega l’esperto.

«Il nuovo farmaco invece fa parte della famiglia degli antidepressivi SNRI, che alleviano il dolore perché intervengono oltre che sulla serotonina, anche su un’altra sostanza, la noradrenalina, coinvolta nella trasmissione degli impulsi di dolore. Ma rispetto ad altri farmaci simili ha decisamente una marcia in più: da una parte potenzia le sostanze che il nostro cervello produce per ridurre la sofferenza, dall’altra aumenta la capacità di regolare la soglia stessa del dolore». Per questo motivo comincia a fare bene già nei primi giorni di terapia e, in più, agisce a un dosaggio molto basso: 60 milligrammi, cioè una sola compressa al giorno. In questo modo diminuisce anche il rischio degli effetti collaterali. «Il grande vantaggio di questo farmaco è proprio quello di essere ben tollerato» aggiunge lo psichiatra Aguglia. «Reazioni secondarie come nausea o calo del desiderio sessuale sono molto ridotte». Dopo due, tre settimane la cura dà il massimo risultato, ma deve essere continuata per almeno sei mesi per evitare brutte ricadute.

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Saturday, May 20, 2006

Dolore, il peggio è aspettare


MEGLIO provare dolore subito che aspettare il momento in cui dovremo provarlo. La conferma scientifica di un comportamento comune di fronte alla sofferenza fisica arriva dallo studio su "Science" della squadra di neuroscienziati della Emory University, guidata da Gregory Berns. Con la risonanza magnetica cerebrale sono stati esaminati 32 volontari sani "tormentati" da scosse elettriche al piede di varia intensità. Prima della scossa i partecipanti conoscevano intensità e tempo d'attesa. Potendo scegliere fra una maggiore intensità e una maggiore attesa, buona parte dei partecipanti preferiva aspettare meno. Il 28 per cento delle persone ha temuto così tanto il dolore da essere disposto a subirlo subito pur di evitare di aspettare ancora. Le risonanze hanno mostrato che l'attesa del dolore attiva zone cerebrali connesse col dolore e con i circuiti dell'attenzione.

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i lievi disturbi della tiroide allungano la vita dell'anziano

Informazione medico-scientifica

LIEVI insufficienze della tiroide in soggetti anziani allungano la vita se non si curano. Lo hanno scoperto ricercatori del Leiden University Medical Center in Olanda valutando per 3,7 anni in media 599 persone. E' stata osservata una riduzione della mortalità del 23% per ciascun aumento di 2,71 mlUI/L di tireotropina nel sangue, che è un indice di minor funzionamento della ghiandola. Invece, ciascun aumento di 0,21 ng/dL di ormone tiroideo (tiroxina libera) ha aumentato del 16% il rischio di mortalità.

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Friday, May 05, 2006

Dolore e sofferenza

[tratto da “Disease Management – Il problema del dolore in Medicina Generale – I” di Claudio Blengini, Pacini Editore MEDICINA]

Dolore e sofferenza sono due facce della stessa medaglia, due aspetti estremamente complessi ed intricati del medesimo universo. Se per dolore intendiamo ‘una sensazione sgradevole in conseguenza di una percezione accompagnata da una serie di reazioni a tale sensazione’, ben altro è la sofferenza. In essa la componente fisica,o per meglio dire neurofisiologica del dolore, si accompagna ad una sensazione generalizzata di disagio, che pervade e condiziona, in modo negativo, la vita di chi la prova. Sono qui in gioco aspetti fisici e psichici di malessere che vanno ben al di là della mera rappresentazione fisica del dolore. L’aspetto psicologico e non solo neurofisiologico del sintomo si fa più evidente con la persistenza e la cronicizzazione del dolore. L’intuizione, prima, e la conoscenza, poi, della mancata possibilità di guarigione costringono il malato a considerare una nuova prospettiva e una nuova dimensione della malattia stessa e del dolore: non più elemento di passaggio e di accompagnamento, ma presenza stabile e incombente, con cui coesistere. Termina così la speranza di una possibile guarigione e si instaurano meccanismi di adattamento e convivenza. […] Ma è nella malattia cancro che il rapporto soma e psiche si manifesta in tutta la sua complessità. […] Essa, più di altre malattie croniche, è nell’immaginario collettivo la rappresentazione della disfatta incombente. […] Nessuna altra malattia che non sia il cancro, pur con i limiti e i disagi che pone alla vita di ogni malato quotidianamente, induce altrettante modificazioni sul piano psicologico-cognitivo. [..] [Nella malattia cancro] c’è in effetti qualcosa che va a toccare nel profondo gli archetipi della rappresentazione della vita. Qualcosa che scatena in modo inconscio, primordiale, una marea di sensazioni che affiorano dall’immaginario alla realtà, alimentandosi con i disagi, le sconfitte, le paure di tutti i giorni, nel percorso travagliato e sovente ineluttabile della malattia. Così le parole non dette, i timidi accenni, le divagazioni sul tema, i frequenti controlli, gli sguardi, gli ammiccamenti, i cenni d’intesa tra i curanti e tra i curanti e i familiari, le domande senza risposta, le condotte di esitamento, sono i tanti motivi che rinforzano e rialimentano ogni giorno la spirale della sofferenza”.

Ad opera di Matteo Brotzu
per:www.psicolife.com