Trattamento psicologico e psicoterapia del Dolore Cronico e Acuto. A cura del Dr. Massimiliano Zisa, Ipnotista, Psicologo, e Psicoterapeuta a Firenze.
Monday, August 28, 2006
Herpes zoster
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore
Circa 350 mila persone ogni anno devono fare i conti con l’Herpes zoster, noto anche come Fuoco di Sant’Antonio. E l’incidenza è in netto aumento, fino al 65 per cento in più. La malattia colpisce prevalentemente soggetti con difese immunitarie indebolite: innanzitutto anziani, ma è molto frequente anche nei pazienti immunodepressi per infezione da Hiv o perché sottoposti a trapianto d’organo.
La malattia consiste nella comparsa di vescicole sulla pelle spesso accompagnate da fortissimo dolore: è di tipo virale, dovuta alla riattivazione del virus della varicella, rimasto silente all’interno di particolari strutture nervose dopo l’infezione primitiva risalente di solito all’infanzia. Il processo patologico interessa le terminazioni nervose sensitive e provoca un dolore di tipo trafittivo talvolta molto intenso, che può durare alcune settimane. In un certo numero di casi il dolore rimane anche dopo la fase acuta, cioè quando le vescicole scompaiono e la malattia prende il nome di nevralgia posterpetica, di durata indefinita.
Le terapie attualmente disponibili per la cura dell’Herpes sono finalizzate soprattutto all’inibizione della replicazione virale mentre trascurano quasi completamente il sintomo dolore. I più comuni farmaci analgesici (antinfiammatori non steroidei, oppiacei) sono infatti scarsamente attivi sul dolore neuropatico. Tra le poche terapie disponibili volte alla cura del dolore da Herpes zoster, il trattamento considerato ad oggi di prima scelta è l’applicazione locale di un composto contenente acido acetilsalicilico ed etere etilico. Questa combinazione terapeutica è stata ideata da un clinico italiano, Giuseppe De Benedittis, direttore del centro per la terapia del dolore dell’Università di Milano.
Già agli inizi degli anni Novanta De Benedittis intuì che l’acido acetilsalicilico, applicato sulla cute assieme all’etere etilico, poteva svolgere un’azione antidolorifica diretta sulle terminazioni nervose interessate dal processo infiammatorio provocato dalle lesioni dell’Herpes. L’etere etilico ha la funzione di ‘sgrassare’ la porzione di cute interessata, favorendo la penetrazione dell’aspirina in modo concentrato verso i nocicettori (recettori del dolore). La “terapia De Benedittis” è riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e inclusa in diversi modelli di protocollo terapeutico accettati a livello internazionale.
“Questa tecnica di terapia locale accelera i tempi di guarigione dell’Herpes zoster e consente un rimedio antidolorifico buono o eccellente fino all’80 per cento dei casi”, illustra De Benedittis; “nella nevralgia posterpetica, cioè nella fase successiva a quella acuta, la percentuale di successo terapeutico è inferiore, ma comunque intorno al 60 per cento, valore difficilmente raggiungibile con altre terapie farmacologiche. I pazienti però vanno istruiti nella tecnica di preparazione e applicazione". La terapia locale con acido acetilsalicilico più etere etilico infatti non esiste come prodotto disponibile in commercio: il preparato deve essere quindi allestito al momento e subito applicato.
Scritto da:antonio caperna
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Thursday, August 24, 2006
L’efficacia dell’ipnosi nel dolore
Benche’ i medici che esercitano l’ipnosi vantino generalmente ottimi risultati nelle piu’ svariate malattie, e soprattutto nella terapia del dolore, la comunita’ scientifica rimane spesso abbastanza scettica in quanto tali affermazioni non appaiono suffragate da prove concrete e per la maggior parte si riferiscono a casistiche sporadiche e non controllate. In alcune scuole di medicina, soprattutto negli USA e in Inghilterra, l’ipnosi e’ compresa tra le materie di insegnamento e viene usata specialmente dai dentisti nella analgesia orale, tuttavia l’affermarsi di terapie farmacologiche affidabili e prive di sostanziali effetti collaterali ha ridotto sempre di piu’ questa pratica.
Alcuni ricercatori americani hanno voluto fornire una chiarificazione sulla reale efficacia della suggestione ipnotica nella terapia del dolore e piu’ generalmente nel miglioramento dello stato del paziente. Hanno effettuato percio’ una metanalisi degli studi sull’argomento eliminando tutte le casistiche aneddotiche ed esaminando solo quelle che rispondevano a precisi criteri scientifici ed hanno paragonato i risultati ottenuti con quanto prevedibile secondo la "scala di sensibilita’ all’ipnosi", un questionario che distingue i soggetti in alta media e bassa suggestionabilita’. I ricercatori hanno rilevato che nel 75% dei pazienti le suggestioni ipnotiche avevano avuto un reale effetto nel ridurre il dolore e che, escludendo i soggetti a bassa suggestionabilita’, la maggior parte dei rimanenti soggetti aveva ricavato un reale beneficio dal trattamento ipnotico. Il beneficio veniva valutato sia dalle dichiarazioni dei pazienti e dalle risposte a dei questionari appositi, sia mediante osservazioni nel loro comportamento (riduzione della richiesta di analgesici o di tranquillanti) nonche’ dei correlati psicofisiologici rilevati con elettrodi dopo il trattamento. Non sono state riscontrate controindicazioni o effetti collaterali indesiderati e oltretutto, poste a confronto con un gruppo di soggetti che aveva praticato intervento psicologico di tipo non ipnotico per la riduzione del dolore, le suggestioni ipnotiche sono risultate complessivamente piu’ efficaci.
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Wednesday, August 16, 2006
La musica fa bene al dolore
Lo studio, realizzato dalla Cleveland Clinic Foundation, è stato condotto su una sessantina di volontari divisi in due gruppi musicali e in un gruppo di controllo. I partecipanti avevano in media 50 anni, erano stati reclutati all'interno delle cliniche specializzate nel trattamento del dolore e soffrivano da almeno sei anni di diversi disturbi, dall'osteoartrite all'artrite reumatoide all'ernia al disco.
La ricerca ha dimostrato che ascoltare musica per un'ora ogni giorno per una settimana migliora i sintomi fisici e psicologici rispetto a chi non ascolta musica.
I due gruppi musicali erano divisi anche per generi: da una parte musica rock, pop e new age, dall'altra piano, jazz, orchestra, arpa e musica sintetica. Ma tra i due gruppi non si sono avute differenze significative rispetto al dolore.
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Friday, August 11, 2006
Perché il calore è analgesico
In pratica questo rimedio della nonna funziona quasi come un antidolorifico, perché disattiva la sofferenza a livello molecolare. Lo hanno appurato i ricercatori dell'University College di Londra, che hanno usato una speciale tecnologia per verificare il funzionamento dei recettori di calore e dolore all'interno delle cellule.
Gli scienziati diretti da Brian King spiegano che le temperature superiori ai 40 gradi centigradi accendono i recettori interni del calore, così questi ultimi bloccano l'effetto dei messaggeri chimici che permettono al corpo di rilevare il dolore.
La ricerca, presentata alla conferenza della Physiological Society, puntava infatti a spiegare perché un sistema semplice come la borsa dell'acqua calda spegne da secoli dolori mestruali, crampi o coliche. Così, grazie a una tecnologia al Dna, gli studiosi hanno guardato dentro una cellula, per studiare le interazioni tra il recettore del calore (TRPV1) e quello del dolore (P2X3).
Si è dunque visto che il recettore del calore può bloccare quello del dolore e interrompere la sofferenza percepita dall'organismo.
Non solo, sembra proprio che l'effetto antidolorifico da caldo possa perdurare per oltre un'ora.
"Il dolore da colica, ciclo mestruale o cistite è causato da una temporanea riduzione del flusso del sangue negli organi colpiti, che causa danni locali ai tessuti e attiva i recettori dolorosi.
Il calore non solo fornisce un aiuto o ha un effetto placebo, ma disattiva il dolore a livello molecolare", spiega King. Più o meno lo stesso meccanismo adottato da molti antidolorifici.
Lo studio conforterà i fedeli dei rimedi della nonna, ma può anche porre le basi per lo sviluppo di farmaci più efficaci diretti specificamente contro i recettori individuati dalla ricerca.
Infatti, secondo gli studiosi inglesi, questi hanno rivelato un ruolo importante e potrebbero essere il bersaglio per nuovi prodotti anti-dolore.
tratto da:Repubblica.
Saturday, August 05, 2006
L'interruttore del dolore cronico
Finora la maggior parte dei tentativi di alleviare i dolori cronici si era concentrato sui neuroni di “secondo livello”, quelli che nel midollo spinale trasmettono i segnali dolorifici al cervello.
I ricercatori della Columbia University si sono invece concentrati sui neuroni più periferici, quelli che inviano i segnali al midollo spinale.
Il dolore diviene cronico quando l’attività dei neuroni di primo e secondo livello persiste anche quando il neurone danneggiato è guarito, o quando è venuta meno l’infiammazione dei tessuti circostanti. Da anni si supponeva che questo fenomeno fosse legato a una sorta di interruttore generale del dolore nei nervi periferici; quale fosse, tuttavia, era ignoto. Questa ricerca lo ha ora identificato nell’enzima proteinchinasi G (PKG).
fonte: Le Scienze
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Wednesday, August 02, 2006
Quell’«invisibile» terapia del dolore
Da un articolo di :Donatella Barus Secondo un recente sondaggio, quattro persone su cinque non sanno neppure che in Italia esistono specialisti e di ambulatori ad hoc. |
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Dai dati di un sondaggio condotto dalla Ipsos a metà maggio, infatti, solo il 22 per cento degli intervistati è a conoscenza del fatto che ci sono terapie mirate a lenire la sofferenza dei malati, e si tratta perlopiù di donne (non a caso, le più coinvolte nell’impegno di cura di anziani e infermi), di persone istruite, con uno status socio-economico elevato e residenti nelle regioni settentrionali. Spicca una forte carenza di informazioni, invece, nel centro-sud e tra i più giovani, che in larga parte ancora non hanno dovuto confrontarsi con queste problematiche. In generale, poi, la terapia del dolore in Italia continua ad avere il sapore di un’occasione mancata, per cui 24 persone su cento hanno avuto esperienza diretta (personale o di un familiare) di un dolore cronico, ma soltanto la metà, il 12 per cento, dichiara di avere fatto ricorso a cure antalgiche specifiche.